Il documento più antico riguardante L’Orvietan risale al 1603, ed è conservato all’Archivio Di Stato di Orvieto. Si tratta della prima licenza di vendita sulla pubblica piazza rilasciata dal consiglio comunale a Girolamo Ferranti, detto L’orvietano. L’amaro nasce come contravveleno per le intossicazioni alimentari o gli avvelenamenti in genere, al pari dell’antichissima teriaca. Lo troviamo infatti catalogato nella farmacopea come un antidoto.
Un concentrato di erbe officinali
L’amaro L’Orvietan era un concentrato di erbe officinali, riprodotto in forma più diluita, grazie alla macerazione in soluzione idroalcolica delle stesse. Ne occorrono 25 diverse, tra cui la mirra, l’assenzio e il rabarbaro. Dopo essere state essiccate vengono lasciate a macerare, procedimento che permette l’estrazione dei loro principi attivi. Il tutto viene poi pressato in torchi e filtrato con un telo. La versione che oggi beviamo non ha più le originarie funzioni di antidoto, ma è considerata un ottimo digestivo. Qualità acquisita quando il Re Sole rilasciò il privilegio di vendita per la Francia a Cristoforo Contugi. Nel documento venivano date anche una serie di indicazioni, tra cui quella di usarlo per aiutare la digestione. Patrizia Catellani e Renzo Consoli sono due studiosi dell’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena. Da antichi documenti farmaceutici hanno ricavato 35 formule e da queste hanno creato la ricetta ideale.
L’amaro L’Orvietan e le sue infinite formule
Non fu facile per i due studiosi modenesi individuare quali fossero le erbe da usare e i quantitativi da seguire. Nella loro pubblicazione si può trovare uno studio analitico di tutte le ricette documentate nelle farmacopee. Combinazioni diverse tra loro, perché ognuno, nel corso del tempo, cercava di ottenere un sapore che si differenziasse dagli altri e migliorasse la qualità delle vendite. I due professori erano stati spinti da un’immensa curiosità: le motivazioni per cui questo amaro fosse così diffuso. Anche nella letteratura e nell’arte. Un signore orvietano, Lamberto Bernardini, qualche anno fa si è appassionato alla loro ricerca storica. Ed è per pura passione che ha deciso di sfidarsi riproponendo l’amaro in bottiglia nella sua originale e segreta formula. Nel suo laboratorio di fronte al Duomo ci sono una serie di documenti originali tra cui molti libri che parlano dell’Orvietan.
L’Orvietan nella letteratura
Manzoni lo cita nella sua prima versione de I Promessi Sposi. Nella commedia L’Amour Médicin di Molière, il personaggio Sganarelle lo usa per curare la figlia. Scott lo menziona due volte in due romanzi diversi. Lo scenografo e regista Anton Giulio Bragaglia, che ha studiato il teatro di piazza italiano, gli ha dedicato l’intero capitolo di una sua opera. Lo stesso ha fatto un’archivista veneziana, che si è occupata della storia delle spezierie veneziane dal ‘500 all’800. Poi ci sono delle pubblicazioni più recenti, che trattano in maniera romanzata la storia dell’Orvietan. Tra queste segnaliamo Le disubbidienti del San Zaccaria della scrittrice orvietana Laura Calderini.